Lost in translations
È una citazione facile, ovvia. La metto qui, perché penso di aver desiderato di essere in Giappone dalla prima volta che ho visto il film. A me piace, essere lost in translations, anche se è faticoso. Ne ho accennato.
E poi c'è la scena del taxi, il mistero di quel che si dicono, alla fine, che non lo sapremo mai, noi, e va bene così.
Osaka mi ha fatto sentire così, ieri sera quando sono arrivato, ma questa volta no, per l'occasione, non mi è piaciuto tanto. Mi sembra una città caciarona, potrei dire. Rumorosa, di sicuro: vado sempre alla ricerca delle voci delle città, che tutte ne hanno una diversa, e Osaka sbraita, ha la bocca quasi sempre aperta, che ci si vede dentro.
È fatta di luci, questa città, ne è piena.
E di cose che non capisco: la zona dove ci troviamo è cosparsa di maid café, e io non li capisco. C'è Dōtonbori, attraversato da un fastidioso e incessante odore di carne da mangiare, e pesce, e il ronzio di giganteschi condizionatori che frullano tutto intorno. Una cacofonia di altri suoni che arrivano fuori tempo e sono anche fuori posto. C'era un canzone brasiliana, ieri sera, nell'aria. Ma è durata il tempo di accorgersene.
I taxi si muovono lenti, in mezzo alla massa di persone. Quando si apre la portiera, alcune persone scendono e si fiondano in un ingresso di fianco alla strada, che io neanché avevo visto. Le insegne sono gigantesche, spesso suonano, o cantano.
Ci sono sopraelevate che vibrano, dappertutto. Sotto le sopraelevate ci sono centri commerciali. C'è un negozio, sotto una di queste sopraelevate, che, con un certo romanticismo, vende cose smarrite sui treni.
- Camera: X-T2
- Lens: XF18-135mmF3.5-5.6R LM OIS WR
- 18mm
- ƒ/3.5
- 1/25s
Message corner
The message form below just sends what you write to my inbox. So you don't have to open the email program or even remember my address.