The City Listener: Dalla mia finestra
Prima che di COVID-19, il 2020 doveva essere l'anno dell'esplosione dei podcast (che mi rende felice) e della rinascita dei blog personali (in questo caso la mia reazione istintiva è entusiasmo). È successo che in questo 2020 sono finito in una puntata del podcast The City Listener Torino, di Nicoletta Daldanise. Un'ottima cosa.
Una parte di questa scuola dirimpetto, che sta un po’ più bassa del nostro balcone, ha il tetto piano: niente tegole, solo una distesa grigia di guaina bituminosa. Dovrebbe proteggere dalle infiltrazioni, ma sospetto che, ciclicamente, il soffitto di alcune delle classi che stanno subito sotto il tetto si macchi di pioggia. Quando succede un paio di persone salgono su questo tetto piano e usano un aggeggio con la fiamma per mettere catrame e tappare le infiltrazioni.
Io, su questo tetto piano, c’ho sempre visto un orto-giardino. È pieno di piante e ortaggi, ha vialetti che passano tra le aiuole e alcuni di questi vialetti hanno un piccolo pergolato che fiorisce spesso.
La meraviglia è che all’inizio c’era solo quell’orto-giardino sulla scuola. Qualcuno aveva iniziato a costruirlo passando per le scale della scuola ogni volte che doveva raggiungere il tetto piano. E di giardino, sui tetti del quartiere, c’era solo lui, all’inizio. Poi successe che qualcuno degli abitanti si accorse che anche il palazzo a destra della scuola aveva un piccolo pezzo di tetto piano: era proprio la sommità della torretta dell’ascensore. Anche quello divenne un giardino, minuscolo, certo, ma vuoi mettere! Niente vialetti, che non ci stavano proprio, ma quattro cascate di rampicanti scendevano dai lati della torretta dell’ascensore e si allungavano sulle falde del tetto. Passò poco tempo e successe che anche il grande terrazzo che era in cima al tetto del palazzo un po’ più lontano divenne anche lui un giardino! Mica da solo, eh, qualcuno se ne occupò, certo, ma intanto…
A quel punto la situazione cominciava a diventare evidente. Voglio dire: gli orti-giardino sui tetti cominciavano a vedersi anche da terra. E, certo, le persone volevano salire su per visitarli, gli orti-giardino, o anche solo per passarci un po’ di tempo o leggere un libro con nel naso l’odore dell’insalata che cresce. E quando stava in uno di questi orti-giardino (che nel frattempo erano diventati sette), la gente voleva sempre andare a sentire i rumori e i profumi un po’ diversi dell’orto-giardino vicino.
Venne facile e in fondo anche logico, ad un certo punto, tirare su dei ponti, tra un orto-giardino e un altro orto-giardino. Erano ponti tibetani, perlopiù, e andavano da cornicione a cornicione, da tetto a tetto ma erano facili da camminare, mica come quelli spaventosi di certi film.
Ora di orti-giardino ce ne sono su quasi tutti i palazzi del quartiere, di tutte le taglie. C’è che è più orto e chi è più giardino. Tu puoi salire su quello tutto fiorito di glicine all’angolo di Via Sacchi, proprio accanto alla stazione e, di ponte in ponte, arrivi al giardino sulla scuola da cui tutto è cominciato e puoi andare oltre, puoi arrivare fin giù, fino addirittura in corso Einaudi.
Alla fine, di ponte tibetano ne abbiamo costruito uno anche noi, tra il nostro balcone e il giardino sulla scuola da cui tutto è cominciato: se passi da quelle parti, fai una deviazione e bussa, così fuori dalla finestra vedrò te.
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