In una domenica pomeriggio infuocata e afosa usciamo di casa per andare alla mostra su Frank Lloyd Wright, giusto l'ultimo giorno prima che chiuda.
Forse per il contrasto tra il caldo che c'è fuori e l'aria condizionata all'interno la galleria commerciale sembra quasi tranquilla. Diretti all'ascensore: saliamo.
Al banchetto-biglietteria della mostra il cerbero di turno alza gli occhi evidentemente infastidito dalla nostra interruzione. Il suo smartphone è appoggiato sul tavolo, a portata di mano. Chiediamo se ci sono convenzioni: il fastidio diventa quasi tangibile. Convenzioni per noi non ce ne sono: paghiamo il biglietto pieno e entriamo, evitando di approfondire e di correre ulteriori rischi.
La mostra è interessante: bei disegni, tutto il fascino dell'architettura di Wright.
Un'atmosfera comica ci accompagna per tutto il giro: le didascalie delle opere sono scritte in corpo 8 e appese in posizioni improbabili. L'effetto finale è che noi visitatori ci chiniamo, ci stiracchiamo, saliamo in punta di piedi e assumiamo pose inconsuete per trovare la giusta posizione e la distanza giusta dalle targhette e leggere. Alcuni, giustamente, abdicano: basta un filo di sciatica o un paio di occhiali imperfetti per impedire di approfondire.
All'uscita della mostra un colpo di karma riequilibra l'esperienza: un signore sulla settantina, di una gentilezza accogliente e empatica, ci chiede se siamo mai saliti alla pinacoteca. Lo chiede a tutti i visitatori che passano davanti alla sua postazione, e ad ognuno riserva un momento di contatto, che è tutto fuorché scontato.
Sono Silvano Stralla. Faccio lo sviluppatore, mi piace fare fotografie e pedalare biciclette.
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